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POMPEI E LA CRISI: SOLO FLUSSI TURISTICI?

Seguendo un po’ le vicissitudini della cittadina di Pompei sento, sempre più spesso, che la soluzione a tutti i problemi sarebbe quella di reindirizzare i flussi turistici prima verso la città e poi verso gli scavi.

Flussi turistici… sento queste parole un po’ dovunque. La medicina che cura tutti i mali: flussi turistici…

Ma siamo sicuri che creando un disagio (l’attraversamento della cittadina) ai turisti che vengono a visitare gli scavi archeologici, si incrementerebbe il commercio della cittadina? Che poi sarebbe limitata a via Sacra, piazza Bartolo Longo e via Roma?

Io non ho questa convinzione.
Il turismo degli scavi è per la stragrande parte fatta di escursioni organizzate. Pullman di turisti che arrivano, visitano il complesso archeologico e se ne vanno. In pochi si fermano a mangiare o fanno spese nei negozi. Né tantomeno dormono negli alberghi locali. Non vedo come orde di turisti di passaggio o ragazzi in gita scolastica possano risollevare l’economia della cittadina.

Purtroppo si sta facendo il medesimo errore di altre cittadine turistiche della vicina costiera sorrentina.
In nome di un turismo d’élite (che non c’è più) non si è mai investito in infrastrutture né, tantomeno, in riammodernamenti di alberghi, di locali o di negozi; i commercianti hanno, negli anni, alzato i prezzi fino a restarne strangolati; non ci si è mai preoccupati di dare un’offerta migliore, più variegata e al passo con i tempi.

Ciò è sintomo di presunzione: siamo Pompei e la gente qui viene sempre…

Il risultato? In costiera gli alberghi sono vuoti come, a Pompei, la piazza, le strade, i negozi…

E qui torniamo al punto di partenza: flussi turistici.

Io penso che si stia facendo un sostanziale errore nell’intendere i flussi turistici.
Sento in giro che i flussi turistici da veicolare verso la cittadina (a parte che sarebbe possibile solo chiudendo le strade…) siano quelli in visita agli scavi; parcheggio pullman a piazza Falcone e Borsellino e ingresso scavi di piazza Anfiteatro…

Certo, qualche turista, prima di entrare negli scavi potrebbe abbandonare il proprio gruppo per comprarsi un gelato, prendere un caffè o comprare un souvenir a una bancarella.

Certo, dopo aver fatto qualche chilometro (tragitto cittadino pullman-ingresso scavi + visita agli stessi), qualche turista potrebbe abbandonare il proprio gruppo per fermarsi a mangiare in qualche ristorantino degli anni ’50 con prezzi degli anni 2000.

Ora, le cose sono due: o tutti gli esercenti pompeiani hanno fatto convenzioni con le organizzazioni delle escursioni (vuoi che vengano da alberghi campani, da navi da crociera, etc.), o si illudono di raccogliere le briciole.

Un’escursione organizzata è fatta di tempi precisi e luoghi precisi. A quest’ora si parte, a questa si arriva, a questa inizia la visita, a quest’ora finisce, a quest’ora si ritorna. E, o si mangia “a sacco” o si va a mangiare in posti prestabiliti e selezionati.

L’escursione è organizzata verso gli Scavi Archeologici di Pompei, non verso la cittadina di Pompei.

A meno che non si pensi di rendere la cittadina un’attrazione per i turisti (italiani o stranieri) investendo su infrastrutture, servizi, attrattive (musei) e quant’altro possa interessare un visitatore a passeggiare per le strade della città nuova (dopo averlo fatto in quelle della città vecchia).

Ma c’è il tempo di fare ciò? E, soprattutto, c’è la volontà comune? C’è la sicurezza, poi, di attrarre la richiesta turistica? C’è la sicurezza di rientrare degli investimenti?

Le domande che ci si dovrebbe porre sono: “perché il turista dovrebbe venire a Pompei?”, “perché dovrebbero entrare nel mio negozio?” ma, soprattutto “chi è il turista che porta soldi al commercio pompeiano?”

E qui si chiude il cerchio. L’errore a cui mi riferivo prima sull’intendere i flussi turistici.

Il “turista” che ha sempre portato soldi alla cittadina è quello delle città limitrofe: Scafati, Torre Annunziata, Boscoreale, Boscotrecase, etc.

In passato, questa gente si riversava a Pompei sia la sera (emblematicamente, la piazza si svuotava dopo l’orario dell’ultimo treno della Circumvesuviana), sia per tutta la giornata della domenica. E questa gente, denigrata e ghettizzata, consumava nei bar, nelle pizzerie, nei negozi di abbigliamento, di elettronica, di bigiotteria…

Ora questa gente manca. Manca a Pompei e manca ai commercianti di Pompei. Perché?

Le cause sono essere molteplici: dai problemi di carattere nazionale come la crisi economica che attanaglia il paese, all’apertura del centro commerciale (che catalizza questo target di persone); dalle problematiche legate ai parcheggi (troppo cari e non frazionati), al non rinnovamento di parecchi esercizi sia nelle strutture che nei prodotti (e prezzi) offerti alla clientela. Fino all’immobilità dell’amministrazione sia nel proporre e attuare aiuti concreti agli esercenti, sia nell’organizzare iniziative che attraggano questo target di mercato.

Il turismo degli scavi può essere sicuramente un aiuto all’economia cittadina ma, solo se lo si intende in termini per lo più d’immagine. Prima che possa incidere a livello economico dovrà passare molto tempo e si dovranno investire parecchi “soldini” in attrattive che, al momento, non ci sono.

COSA FARE?
Innanzi tutto bisogna avere piena coscienza dei target a cui è destinato il “prodotto” Pompei; o meglio, differenziare tale prodotto per i diversi target.

Avremo così una Pompei “archeologica” fruibile e appetibile al turista extraterritoriale, una Pompei “sacra” destinata al turismo religioso, una Pompei “commerciale” al turismo limitrofo.

Come detto prima, la domanda, a questo punto sarà: io (commerciante, imprenditore, politico) quale di questi target posso servire? E ancora: cosa posso offrire? Perché dovrebbero essere attratti dalla mia offerta?

Sono cosciente che questo discorso possa sembrare all’inizio un po’ banale per poi diventare di difficile interpretazione ma, questa è la realtà dei fatti.

Inutile dire che questo è un discorso rivolto soprattutto alla collettività; se ci si muove da soli si rischia di fare un buco nell’acqua con conseguente spreco di denaro investito. Bisogna agire di concerto al fine di sfruttare i punti di forza della cittadina e limitare quelli deboli.


Pompei e la crisi: solo flussi turistici?
Catello Carella

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